San Sosti - Buonvicino: il fascino di un vecchio percorso ed il culto di San Ciriaco Abate


 

di Vincenzo Maratea

 

Sono diversi anni che il pellegrinaggio a Buonvicino attraverso la Gola del fiume Rosa non si effettua. Almeno non si effettua come eravamo abituati sotto la guida di Salvatore (Tuturo) Bencardino. Agli inizi di settembre Tuturo incominciava a raccogliere le adesioni dei partecipanti, mentre il sottoscritto preparava il manifesto da affiggere alle vetrine dei negozi del paese. Raccolte le adesioni il 18 settembre di buon'ora si partiva dal centro del paese verso la gola del Rosa. Per alcuni anni dal paese fino all'imbocco della Gola ci ha trasportato Salvatore Di Loria col suo camion. Tuturo ha guidato il gruppo, a volte anche di 60/70 persone, per oltre 40 anni. Io mi sono aggregato molto più tardi in quanto per motivi di lavoro ho vissuto per alcuni anni lontano da San Sosti. Qui di seguito il ricordo di uno dei tanti pellegrinaggi. "Ci ritroviamo alle 5,30 del mattino allu Timpunu. Si aspettano i ritardatari e alle sei in punto, sotto la guida di Tuturo


Bencardino si parte. È ancora buio, ma si cammina sull’asfalto fino all’imbocco della gola del fiume Rosa. I primi chiarori illuminano la sterrata che si incunea tra i contrafforti rocciosi della Pietra dell’Angioletto (‘a Taglia ‘i Gangiulieddru), sulla sinistra idrografica, e Monte Prezzamano, sulla destra. Il tempo promette una bella giornata. La prima sosta la si fa ai Pisciuattoli (splendida cascata fino alla tarda primavera), non tanto per riposarci, ma per assaggiare le squisitezze contenute negli zaini, preparate con tanta cura dalle mamme e dalle mogli.Qui termina la sterrata ed inizia l’antico tratturo che, attraversando più volte il greto del fiume, mette a dura prova le nostre ginocchia. Dopo circa mezz’ora dai Pisciuattoli, si fa una breve deviazione a sinistra per andare ad ammirare la cascata del Savuco. Purtroppo in questo periodo l'acqua è ridotta ai minimi termini e la cascata non si mostra in tutta la sua bellezza. Si ritorna indietro e si riprende il corso principale del fiume. Poco più di un’ora ancora ed eccoci alla "Vena d'i Cacciaturi", dove si fa la seconda sosta. Ancora una mezz'ora e la stretta gola si apre in un’ampia radura alla quale fanno da corona la Montea, il Montalto e la Travame: Capi di Rosa, le sorgenti del fiume. Si fa rifornimento d’acqua e si prosegue per il Varco del Palombaro (palombaro, cacciatore di palombe, cioè di colombacci), posto a 1002 metri sul livello del mare. Qui è d’obbligo una lunga e meritata sosta. Sotto l’ombra del maestoso faggio testimone di secoli di svalicamenti, si svuotano gli zaini: melanzane ripiene, polpette di riso e patate, pani ripieni di patate e peperoni fritti, uova soda, insaccati e svariati tipi di frittate; il tutto accompagnato dall’ottimo vino locale: ognuno vuole assaggiare quello degli altri per i dovuti confronti. E fanno la comparsa i telefonini (è l’unico posto in cui c’è campo). Chi telefona alla moglie, chi al marito, chi alla fidanzata, chi agli amici rimasti a casa per aggiornarli sull’andamento dell’escursione.Sdraiati sull’erba morbida lo sguardo scivola sull’aereo crinale, punteggiato di pini loricati della Montea, la più bella montagna del Parco Nazionale del Pollino. Chi fotografa, chi osserva la bellezza mozzafiato delle montagne circostanti, chi accenna ad un breve pisolino. Naturalmente non mancano l'allegro suono dell'organetto di Compa' Lucio Aragona e i canti a squarciagola di chi ha bevuto qualche bicchiere di troppo. Si riprende il cammino lungo il Vallone dello Sfrasso per poi piegare al primo incrocio a sinistra in direzione di Serrapodolo, antico insediamento magno-greco di cui resta solo il toponimo e alcune case diroccate. Si continua lungo il Vallone Finocchio, costeggiando le limpide e fragorose acque del torrente, fino ad un’area pic-nic attrezzata dove si consumano le ultime provviste.

Da qui in poi il percorso si snoda, in leggera discesa, su una comoda sterrata. Dopo aver attraversato il ponte che permette di superare l’enorme spaccatura di Sasso dei Greci, la strada riprende a salire. “Questo è l’ultimo tratto” dice Tuturo a chi viene per la prima volta. Ma è un tratto che sembra non finire mai anche per chi come me conosce a memoria l’itinerario. La stanchezza è tanta, ma gli zaini ormai vuoti e la meta vicina ci fanno ritrovare le ultime forze per proseguire. Finalmente dietro una curva appaiono le prime case di Buonvicino e su in alto, in cima alla montagna, l'enorme statua di San Ciriaco Abate. Entrati in paese ci accoglie una gentile famiglia che ci offre da bere vino, aranciata, caffè e coca-cola. Si scende una ripida scalinata ed eccoci davanti alla chiesa. Si fa la dovuta visita al Santo e poi tutti giù in piazza dove stanno ad aspettarci il Sindaco e alcuni membri della sua Amministrazione davanti ad un ricco buffet. Dopo i discorsi di rito ci dirigiamo verso le scuole messe a nostra disposizione per poterci lavare e cambiarci i vestiti madidi di sudore. Prima di allora ci lavavamo, alla meno peggio, alla prima fontana che incontravamo nella parte alta del paese.Il gruppo si scioglie. Ognuno cerca i propri familiari venuti in auto, con i quali si trascorre il resto del pomeriggio aggirandosi tra le bancarelle degli ambulanti in cerca di qualche souvenir da portare a chi è rimasto a casa. Si passa la serata assaporando nelle trattorie la carne di capra al sugo o il baccalà fritto, aspettando la mezzanotte per ammirare gli spettacolari fuochi d’artificio (Buonvicino vanta una grande tradizione pirotecnica) prima di far ritorno a casa. Quelli che non hanno l’auto faranno ritorno il giorno dopo con il pullman messo apposta per l’occasione della festa.

 


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